Romeo Castellucci_Scenografia, architettura e spazio scenico

Accademia di architettura

Data d'inizio: 20 Marzo 2014

Data di fine: 21 Marzo 2014

Conferenza pubblica

 

Scenografia, architettura e spazio scenico

 

L'importanza del ruolo e delle competenze dello scenografo non sono ancora di dominio pubblico, come invece meriterebbero. Proprio per questa ragione l'Accademia di architettura, Università della Svizzera italiana,ha deciso di dedicare un ciclo di conferenze al rapporto tra pratica architettonica e arte scenica invitando una serie di grandi scenografi a condividere col pubblico la propria esperienza artistica, la pratica teatrale e i progetti in corso, con l'ausilio di immagini e filmati che testimoniano della loro opera

 

Romeo Castellucci

Quando irrompe sulla scena teatrale italiana, e poi subito europea, la Societas Raffaello Sanzio disorienta per l'accumulo di oggetti e materiali (scenici e sonori), in una raffica di spettacoli che si susseguono anche a distanza di pochi mesi. Viene in poco tempo percepita come un "corpo estraneo" alle mode, una nuova realtà non sanzionata dai profeti professionisti del nuovo perché portatrice di un segno inconfondibile, talmente radicale da risultare non-catalogabile.

La sorprendente tribù romagnola viene fondata nel 1981 da due coppie di fratelli: Claudia (n.1958) e Romeo (n.1960) Castellucci, Chiara (n.1960) e Paolo (n.1962) Guidi. Romeo Castellucci (che si diploma in pittura e scenografia all'Accademia di Belle Arti di Bologna) realizza per oltre quattro decenni molti degli spettacoli della Societas, firmandoli come autore, regista, creatore delle scene e dei costumi, delle luci e dei suoni.

Romeo Castellucci è uno dei protagonisti della ricerca teatrale contemporanea, noto in tutto il mondo - i suoi lavori sono stati presentati in più di cinquanta nazioni - come figura di riferimento di un teatro fondato sulla totalità delle arti e rivolto a una percezione integrale. Le sue regie, infatti, propongono linee drammatiche non soggette al primato della letteratura, facendo del teatro un'arte plastica, complessa, ricchissima di visioni. Questo ha sviluppato un linguaggio comprensibile come solo possono esserlo la musica, la scultura, la pittura e l'architettura. I suoi lavori vengono regolarmente invitati e prodotti dai più prestigiosi teatri di prosa, teatri d'Opera e festival internazionali.

Nel 2005 Castellucci è nominato Direttore del Settore Teatro della Biennale di Venezia per il 37. Festival Internazionale, intitolato "Pompei. Il romanzo della Cenere" e caratterizzato da una ridefinizione del problema della rappresentazione, una riconsiderazione del ruolo dello spettatore e un'apertura verso le forme di teatro nascenti e opere non incluse nel quadro tradizionale del teatro. Nel 2007 ricopre il ruolo di "artiste associé" della Direzione artistica del Festival d'Avignon per la 62a edizione (2008), dove presenta l'imponente trilogia Inferno, Purgatorio, Paradiso ispirata alla Divina Commedia di Dante. Trilogia che il quotidiano "Le Monde" elegge "migliore spettacolo teatrale ed evento culturale tra i dieci più influenti del decennio 2000-2010 nel mondo".

Nel 2010 inizia un nuovo progetto che lo porterà alla creazione di Sul concetto di volto nel figlio di Dio e di Il velo nero del Pastore. Nel 2012 il ciclo si conclude con la creazione di The Four Seasons Restaurant. Nel 2011 affronta il Parsifal di Richard Wagner presso il Theatre La Monnaie - De Munt di Bruxelles, premiato con il Prix Europe Francophone da parte del Syndicat de la critique Théâtre, Musique et Danse e ripreso a Bologna nel gennaio 2014. Nello stesso anno è l' "artista invitato"  del Tokyo Festival, dove realizza The Phenomenon Called I. Nel 2013 è invitato dalla Schaubhüne di Berlino a produrre Hyperion di F. Hölderlin.

Romeo Castellucci è anche autore, insieme a Claudia Castellucci e Chiara Guidi, di diversi saggi e antologie di scritti sul teatro. I principali: Il teatro della Socìetas Raffaello Sanzio (Ubulibri, Milano, 1992), Epopea della Polvere (Ubulibri, Milano, 2001), Les Pélerins de la matière (Les Solitaires Intempestifs, Besançon, 2001), Epitaph (Ubulibri, Milano, 2005), The Theatre of Socìetas Raffaello Sanzio (Routledge, London and New York, 2007), Itinera: Trajectoires de la forme - Tragedia Endogonidia (Arles, Actes Sud, 2008).

Numerosi i premi e le onorificenze ricevute (anche se Castellucci ha recentemente dichiarato: "Non sono mai soddisfatto del tutto del  mio lavoro e i riconoscimenti mi fanno paura"), fra cui il Leone d'Oro della Biennale Teatro 2013, con questa motivazione: "Per la sua capacità di creare un nuovo linguaggio scenico in cui si mescolano il teatro, la musica e le arti plastiche. Per aver creato mondi in cui si arriva all'eccellenza della rappresentazione di stati onirici, che è forse la più bella affermazione che si può fare del fatto teatrale. Per aver fatto una rappresentazione scenica di una cosa impossibile da rappresentare come l'incubo. Per averci fatto dubitare, interrogandoci con scene apparentemente inoffensive, e poi farci scoprire che dietro ogni pelle di pecora c'è un lupo o cento lupi o mille. Per averci trasportato in mondi paralleli per poi riportarci indietro e rivedere i nostri stessi mondi e trovarli differenti. Per averci saputo elevare e rapire all'interno dei suoi racconti spesso dimenticando che eravamo seduti nella platea di un teatro. Per aver unito strettamente il suo nome alla parola Arte. Per aver fatto dell'Italia un riferimento internazionale attraverso la creazione e la rappresentazione delle sue opere alla fine del XX secolo e all'inizio del XXI. Per esser rimasto scenicamente vivo dopo tutti questi anni di lavoro, continuando con la stessa freschezza con cui ha iniziato 30 anni fa. E per essere stato una grande fonte di ispirazione per le generazioni successive a cui ha regalato un magma di nuovi linguaggi scenici".

A Romeo Castellucci è dedicata in questi mesi a Bologna una specialissima "personale" che accompagna il conferimento della laurea honoris causa da parte dell'Università emiliana, intitolata  "E la volpe disse al corvo. Corso di linguistica generale". Corso di linguistica perché quello di Castellucci è un teatro sul linguaggio. - filo rosso che ritorna sempre, a partire dalle prime performance degli anni '80, quando in Kaputt necropolis (1984), si ricostruiva un vocabolario ricavato da dialetti creoli e dai testi di Leibniz, Lullo e Giordano Bruno; nei lavori successivi degli anni '90, in quel fondamentale Amleto (1992) dove il testo scespiriano diventava quasi puro suono e il linguaggio patologia mentale; nella introspezione estrema della endoscopia in diretta del Giulio Cesare (1997); nella Divina Commedia del 2008 in cui la lingua degli uomini si adatta e si capovolge sulla lingua degli animali o si confonde nel rumore degli oggetti. È un'operazione che ritorna al mito, ai testi ancestrali e alle figure antiche e sacre (Gilgamesh, Lucifero, il Volto di Cristo) senza avere paura di trasfigurarli, di privarli drammaticamente della loro radice segnica, di ridurli a immagini simboliche prive di alfabeti comprensibili e di codici convenzionali. Si spiegano in tal senso i corpi mutilati, le protesi, le deformità che caratterizzano le scene delle opere più note (L'Amleto, la Genesi, la Tragedia Endogonidia).

È in questo contesto di disfacimento linguistico, dove  un corso (di linguistica) è prima di tutto il senso di una marcia di scomposizione e dissacrazione del senso, che, quasi inopinatamente, si colloca l'architettura. L'architettura è quello che resta. Scrive Castellucci: "Trovo che l'unica funzione immediatamente sociale del teatro sia innanzitutto nell'architettura che lo contiene, che comporta ogni volta, come effetto di rimando, l'instaurarsi di una comunità istantanea tra sconosciuti che condividono una sorta di 'eucarestia' estetica della sensazione". In questo senso, l'architettura è una presenza necessaria e allo stesso tempo variabile. Una presenza che si è via via modulata partendo da una riflessione generale sullo spazio teatrale (nei primi spettacoli), fino ad arrivare a un tentativo di identificazione fra spazio della rappresentazione e spazio della città nei diversi momenti nelle quali si svolge la Tragedia Endogonidia (2002-204). Ogni tappa di questo spettacolo itinerante è una sorta di distruzione e ricostruzione per immagini dello spazio urbano in cui si innesta, perché, se l'architettura è ciò che rimane ancora sociale prima della presa estetica della rappresentazione teatrale, è dentro lo spazio del teatro che la città potrà essere 'veramente' vista. Sorta di moloch inenarrabile, racchiusa nella scena, attraverso una serie di immagini che ne rendono conto come in una sorta di traduzione, la città toccata dal progetto della Tragedia Endogonidia (da Bergen a Cesena, da Parigi a Londra) viene descritta solo per immagini estreme, simboliche e, ancora una volta, pre - segniche. Nello spazio terribilmente bianco in cui un clown improvvisato strofinerà un pezzo di carne sanguinolento a mo' di straccio per le pulizie, cosa c'è di Avignone? Cosa di Parigi nelle enormi vetrate da cui filtra la luce su una bagnata sala di aspetto ferroviaria e attraverso le quali si intravedono esanimi corpi scrutare? Cosa di Marsiglia nella donna nuda legata e fotografata al centro del tondo luminoso che segna il centro dello spazio scenico? Portando alle estreme conseguenze la lezione delle avanguardie, Castellucci, dentro un'architettura teatrale, fatta di pareti, veli e luci, restituisce un'idea di città che è una sorta di fermo immagine dell'irrappresentabile, privo di appigli semantici e di giustificazioni narrative.

La ratio del percorso è forse ancora più chiara guardando alla produzione successiva e in particolare a La Divina Commedia (2008), che segna il ritorno alla scomposizione di un classico letterario, ma soprattutto, proietta in modo plastico la dissoluzione degli schemi narrativi e la riduzione estrema a immagine dello spazio urbano reale. La macchina teatrale si dissemina dentro la città di Avignone, dove La Divina commedia viene progettata e messa in scena in tre diversi spazi architettonici (la Cour d' Honneur per l'inferno, Parc des Expositions-Chateaublanc per il purgatorio, Eglise des Célestins per il paradiso). Un percorso che è prima di tutto la ricerca di un'origine dell'abitare il mondo, laddove l'ambientazione architettonica nella città, che sfugge la convenzione del teatro borghese, è leggibile come una sorta di percorso via via sempre più immanente e materiale e al contempo etereo e trascendente, individuando nell'architettura del teatro una specifica funzione religiosa "nel senso etimologico di re-ligio, mettere insieme". Quasi che l'architettura come il corpo vivo sia talmente legata al presente e al materiale da poterci di converso svelare lo spazio sacro, e che questi non sia altro che lo spazio ultimo e irriducibile che esiste al di là di qualsiasi sovrastruttura, meta finale di quel per - corso di linguistica generale (che è ricerca di un linguaggio dello spazio e dell'architettura prima ancora di quello verbale) chiave della riflessione teatrale di Romeo Castellucci.

Prof. Marco Müller

 

giovedì 20 marzo 2014 ore 19.30

 

Aula magna

Palazzo Canavee

Via Canavee 5

CH-6850 Mendrisio